Luigi Prinotto, scrivania a ribalta, 1779.
cm 99 x 83,5 x 47
Intarsi in avorio e legni pregiati.
Collezione privata.
Con il progredire degli studi, Luigi Prinotto può finalmente ambire ad una legittima consacrazione in ambito internazionale.
Nato a Cissone nelle Langhe nel 1685 circa, Prinotto si era trasferito giovanissimo a Torino per imparare il mestiere di ebanista e nel 1712 si era conquistato il diritto di aprire una bottega in proprio superando il difficile esame per diventare mastro presso la corporazione locale [1].
In Piemonte, il primo a ricevere il titolo di Ebanista di Sua Maestà è stato Pietro Piffetti nel 1731, al suo ritorno da Roma: sebbene in precedenza questa carica fosse inesistente, non c’è dubbio che fino ad allora l’ebanista nativo di Cissone emergesse quale indiscusso numero uno dell’ebanisteria piemontese.
In relazione con i migliori artisti presenti a Torino nella prima metà del Settecento, Prinotto era infatti ben introdotto a corte e lo dimostrano le numerose commissioni ricevute dalla Real Casa, alcune davvero prestigiose.
Ad esempio, nel 1723 aveva completato la magnifica scrivania detta dell’assedio di Torino per il Principe di Piemonte e nello stesso anno era stato incaricato da Filippo Juvarra di modificare l’altare della Cappella del Beato Amedeo all’interno della Cattedrale di Sant’Eusebio a Vercelli, operazione che rientrava in un articolato progetto celebrativo del patrono di Casa Savoia.
Nel 1730 aveva realizzato il raffinato scrigno destinato a contenere le medaglie commemorative di Luigi XIV attualmente custodito presso il Museo Civico d’Arte Antica del capoluogo piemontese.
Tra il 1732 ed il 1734 lo troviamo impegnato nell’allestimento del Pregadio della Regina nel Palazzo Reale di Torino: in quella stessa residenza, tra il 1731 ed il 1733, Prinotto aveva atteso alla fornitura dell’arredo per il Pregadio del Re lavorando insieme a Pietro Piffetti. Onnipresente regista di quella straordinaria stagione artistica iniziata da Vittorio Amedeo II e proseguita nel solco della continuità da Carlo Emanuele III, Filippo Juvarra aveva quindi deciso di affiancare il più esperto tra gli ebanisti piemontesi ad un artefice straordinariamente dotato, ma che in fin dei conti aveva appena concluso l’iter di perfezionamento che l’architetto messinese aveva attentamente pianificato per lui [2].
Non deve quindi passare in secondo piano che nella crescita professionale del Regio Ebanista ha giocato un ruolo decisivo il suo collega originario della Provincia Granda [3].
Prinotto era giustamente considerato dai suoi contemporanei una delle due massime autorità in materia di ebanisteria a Torino: non a caso le ricerche più aggiornate ci restituiscono chiaramente l’immagine di un artista la cui preparazione tecnico-culturale andava ben al di là dei limiti entro i quali un tempo si credeva fosse confinata [4].
Ormai 95enne, il maestro di Cissone dettava il suo testamento: voleva che “tutti li mobili, […] come pure tutti li ferri, boscami ed ogni altra cosa ad uso della di lui arte da ebanista” andassero a sua moglie, Teresa Secco [5].
Sarà proprio quest’ultima a proseguire l’attività del marito: nel 1792 la bottega risultava infatti ancora attiva, con tre lavoranti [6].
Le vicende umane di Luigi Prinotto si concludevano invece nella capitale sabauda il 22 aprile 1780.
Una vita lunghissima, ed interamente votata al lavoro: il suo ultimo mobile conosciuto è una scrivania a ribalta realizzata nel 1779, appena un anno prima di morire[7].
Nonostante l’autore sia un uomo di 94 anni, è un arredo di tutto rispetto che testimonia il momento di passaggio tra l’estremo barocchetto ed il gusto neoclassico a cui anche questa bottega si era dovuta adeguare [8].
L’equilibrio delle proporzioni e l’armonia delle linee fanno di questo mobile dalle dimensioni contenute un piccolo gioiellino di ebanisteria: Luigi Prinotto lo firma con orgoglio sulla fodera posteriore di un cassettino interno, in caratteri maiuscoli.
È uno dei pochi pezzi a cui il maestro abbia riservato questo onore [9].
La curvatura aggraziata delle gambe, che rievoca i suoi modelli più famosi, si risolve sul fronte e sui fianchi in un grembiale ansato. L’ebanista rinuncia quasi del tutto ai materiali preziosi, puntando con decisione su un’accurata scelta di piallacci posati a venature contrapposte che creano motivi a losanga. Su questo spettacolare fondo in noce si gioca il contrasto cromatico tra i nastri rossi in bois de rose ed i nastri verdi in tulipifero, accompagnati da una sottile filettatura in bosso.
Aprendo la calatoia, si accede al vano interno, deputato alla scrittura: sul fronte dei cinque cassettini, di cui tre hanno il fronte concavo, si rinnova l’alternanza dei colori rosso e verde.
È un’eleganza discreta, non ostentata. Unica concessione al lusso, i dettagli in avorio della scena venatoria sulla ribalta: Prinotto vi fissa l’istante in cui un cacciatore punta il suo fucile in direzione dei cervi, pronto a sparare.
È il canto del cigno di un sommo interprete dell’arte ebanistica.
Note:
[1] A proposito di Luigi Prinotto, si rimanda almeno a R. Antonetto, Minusieri ed ebanisti del Piemonte. Storia e immagini del mobile piemontese. 1636-1844, Daniela Piazza, Torino, 1985, pp. 258-273, A. González-Palacios (a cura di), G. Ferraris, Pietro Piffetti e gli ebanisti a Torino (1670-1838), Allemandi, Torino, 1992, pp. 145-171 e pp. 221-230, A. Cifani, F. Monetti, Novità per Luigi Prinotto (1685 circa-1780), autore della scrivania con la Battaglia di Torino per Carlo Emanuele III di Savoia, in AA. VV., Memorie e attualità dell’assedio di Torino del 1706 tra spirito europeo e identità regionale, Centro Studi Piemontesi, Torino, 2007, vol. II, pp. 801-830, R. Antonetto, Il mobile piemontese nel Settecento, Allemandi, Torino, 2010, vol. I, pp. 69-128, C. Cagliero, Un capolavoro di alta ebanisteria nelle Valli di Lanzo, Hever Edizioni, Ivrea, 2016, e R. Antonetto, Luigi Prinotto, in AA. VV., Genio e maestria. Mobili ed ebanisti alla corte sabauda tra Settecento e Ottocento, Allemandi, Torino, 2018, pp. 118-123.
[2] C. Cagliero, La formazione giovanile di Pietro Piffetti, Regio Ebanista alla corte dei Savoia, Hever Edizioni, Ivrea, 2020, pp. 39-55, pp. 94-96 e pp. 116-123. La possibilità che sia stato Juvarra ad inviare Piffetti a Roma era stata prospettata in A. Cifani, F. Monetti, Fonti iconografico-letterarie e metodologia di lavoro dell’ebanista torinese Pietro Piffetti. Contributi documentari per la sua vita e scoperte per il cassettone a ribalta del Palazzo del Quirinale ed altri mobili, in Bollettino d’arte del Ministero per i Beni e le Attività Culturali, n.° 131, gennaio-marzo 2005, p. 24, Id., Nuovi contributi documentari per la vita di Pietro Piffetti, “ebanista di Sua Maestà”, in A. Cifani, F. Monetti, M. Ravera, Capolavori di Pietro Piffetti nella città di Bene, L’Artistica, Savigliano, 2005, p. 85, A. Cifani, F. Monetti, La donazione Volpi Ottolini per la Fondazione Pietro Accorsi, Silvana Editoriale, Cinisello Balsamo, 2009, p. 27, Id., Pietro Piffetti fra il Quirinale e la Fondazione Accorsi, in Il Quirinale. Rivista d’Arte e Storia, Anno VI, n.° 9, 2010, p. 98, e Id., Il mobile del Sole e della Luna di Pietro Piffetti. Un capolavoro dell’ebanisteria europea alla Fondazione Accorsi-Ometto, in AA. VV., Un capolavoro di Pietro Piffetti, Allemandi, Torino, 2010, p. 17.
[3] Che il maestro cissonese sia stato una guida per il giovane Ebanista di Casa Savoia era stato ipotizzato in V. Viale (a cura di), Mostra del Barocco Piemontese. Palazzo Madama, Palazzo Reale, Palazzina di Stupinigi, Pozzo – Salvati – Gros Monti, Torino, 1963, vol. III, p. 9. Anche Arabella Cifani e Franco Monetti avevano esortato con perspicacia ad indagare “sui rapporti intercorsi con Piffetti, con cui è comunque documentato per la comune e coeva attività per il Palazzo Reale di Torino e l’Università dei Minusieri” (cfr. A. Cifani, F. Monetti, Fonti iconografico-letterarie (…), p. 24, e Id., Nuovi contributi (…), p. 85).
[4] Per la rivalutazione tecnica di Prinotto, cfr. C. Cagliero, Un capolavoro (…), passim; per intuire l’ampiezza dei suoi orizzonti culturali, cfr. R. Antonetto, Cassettone a quattro tiretti con le storie di San Bruno e della fondazione dei Certosini, e Id., Coro monastico, in AA. VV., Genio e maestria (…), pp. 364-366 e pp. 370-383, con le segnalazioni di Arabella Cifani e Franco Monetti.
[5] A. González-Palacios (a cura di), G. Ferraris, Pietro Piffetti (…), pp. 229-230.
[6] G. Merlo, C. Ravizza, A. Cifani, F. Monetti, Gli artisti a Torino dai censimenti 1705-1806, Gribaudo, Cavallermaggiore, 1996, p. 131.
[7] La scrivania, già segnalata in A. Cifani, F. Monetti, Novità per Luigi Prinotto (…), p. 813, e menzionata en passant in R. Antonetto, Luigi Prinotto, in AA. VV., Genio e maestria (…), p. 122, è pubblicata in C. Cagliero, La formazione giovanile (…), pp. 128-129 e figg. 81-85.
[8] R. Antonetto, Il mobile piemontese (…), vol. I, p. 70.
[9] Allo stato attuale degli studi, gli arredi firmati da Prinotto si contano sulle dita di una mano: questa scrivania, due cassettoni, un coro monastico ed un tabernacolo (ivi, pp. 86-88, 116-117 e 123-124, e C. Cagliero, La formazione giovanile (…), p. 129, nota 12).